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AMORE MATERNO: QUANDO LA DORATURA RESTA SULLE DITA

Scritto da VITTORIA GRAVINA il .

Amore materno: un amore che chiede di essere riconosciuto non solo come sentimento “innato” ma anche come riconoscimento per le fatiche, i sacrifici e il tempo dedicato. Diamo dignità e valore al nostro tempo. La versione di Viky Ravi.

Amore materno: se ne parla tanto. Si pensa che scatti fin dal primo momento della gravidanza, tutti lo descrivono come qualcosa di straordinariamente bello e appagante, ma… e qui c’è un ma… questo non avviene immediatamente per tutte. Molte donne possono provare sentimenti inversi, senso di inadeguatezza, depressione per non riuscire a sentirsi come si dice. Questo racconto fa parte di una serie di storie che hanno tutte lo stesso sapore. Il sapore amaro di chi pieno di speranza e aspettative, si ritrova svuotato di quel sentimento “puro” che avrebbe dovuto riempire l’anima di gioia ma che in realtà ci prescrive come dobbiamo essere.

Amore materno e il forte desiderio delle donne

«Non si devono toccare gli idoli, altrimenti la doratura resta incollata alle dita.»

Cit. G. Flaubert

Ho desiderato mia figlia per anni. Ho creduto che non sarebbe stato facile averla e ho pianto a ogni test di gravidanza negativo e a ogni compleanno che passavo in solitudine per quella famiglia che desideravo ma che non potevo avere. Poi, un giorno, le lineette del test si sono colorate e… niente. Inizialmente ho pensato che fossi sotto shock. In quel momento io e il mio compagno pensavamo a tutt’altro, stavamo affrontando una ristrutturazione ed entrambi stavamo ancora cercando un lavoro vero.

Amore materno: quelle beta e l’attesa…

Fatte le beta e la prima visita che ha accertato la gravidanza ci siamo guardati: cosa provavamo? Eravamo felici? Sentivamo l’amore e quel sentimento travolgente che tutte descrivono? La risposta è stata per molto tempo incerta. Continuavamo ad aspettare che quell’ondata di emotività, di cui tanto avevamo sentito parlare, ci investisse con tutta la sua forza e creasse il legame. Pensavamo che nata la bambina l’amore materno e l’amore… paterno (?) si sarebbero manifestati e invece per molto tempo a quell’emozione altalenante e a tratti tiepida non si è sostituito niente di così eccezionale.

Amore materno

L’amore materno e paterno: un sentimento inizialmente ignoto

Ne abbiamo dedotto che l’amore e l’emozione travolgente di cui tanto si sentiva parlare fosse un sentimento un po’ gonfiato e abbiamo smesso di parlarne. Se al mio compagno però non veniva chiesto cosa significasse “diventare padre” a me veniva domandato a ogni cena, a ogni incontro tanto che avevo l’ansia che mi venisse riproposta quella domanda. In me, senza che me ne accorgessi, l’ambivalenza di ciò che provavo aveva messo radici profonde che solo tempo dopo avrei riconosciuto.

Perché quando stringevo mia figlia non provavo quel grande amore che avevo immaginato nei suoi confronti?

Ero una madre e l’amore materno, per definizione, era un sentimento delle madri. Cosa avevo che non andava? Perché le uscite in carrozzina più che essere un piacere erano una fatica estenuante? Perché mi scoprivo a piangere tutt’a un tratto rimpiangendo la vita di prima? Ero meno “madre”?

La mamme di oggi vengono esaltate ma celano realtà diverse

In effetti non avevo niente in comune con quella figura della madre devota che ancora oggi ci viene tramandata. Una donna, dalle sembianze vittoriane, che si prende cura con abnegazione della progenie e della casa, con il sorriso h24 sulle labbra. Un modello resistente ai cambiamenti culturali perché se negli anni ‘50 quella figura declamava Shakespeare allǝ figliǝ* e riusciva comunque a mettere in tavola la cena per le 20.00, oggi è una donna in carriera che si divide tra partner, lavoro, casa e famiglia. Un’immagine esaltante, che anche su di me un tempo aveva avuto appeal, ma poco, molto poco reale.

mamme multitasking

Amore materno: perché non è appagante per tutte?

Chi aveva stabilito allora che l’amore materno fosse un sentimento monodimensionale? Perché io non avevo provato quell’amore che ripaga dalle fatiche tanto da considerarle dono invece che sacrificio? L’amore materno, così come avrei scoperto tempo dopo, altro non è che una mera reazione ormonale. La sensazione di accudimento che molte provano di fronte allǝ bambinǝ sarebbe frutto dell’ossitocina. Quindi chiunque, non solo una madre, poteva provarlo. Perché allora non esiste un corrispettivo per definire l’amore che prova un papà, una nonna, un nonno e altre figure nei confronti dellǝ bambinǝ. Perché questo amore così travolgente e appagante deve essere appannaggio solo delle madri? Perché, se avere figliǝ rende la vita piena e completa, come ci dicono, solo le persone che la società riconosce come donne e madri devono beneficiarne?

Questo tipo di amore è di genere?

L’amore materno, a differenza di quanto crediamo, non ha origini così antiche, in passato le donne avevano figli per motivi pratici: c’era bisogno di più braccia per lavorare e allora si procreava. Inoltre l’altissimo tasso di mortalità era uno dei fattori che contribuiva alla mancanza di sentimento delle madri nei confronti dellǝ figliǝ. Quando, intorno al periodo della Rivoluzione Industriale, non servirono nemmeno più le braccia per lavorare si pensò di romanticizzare la maternità così da mantenere la divisione dei ruoli (gli uomini in fabbrica e le donne in casa ad accudire lǝ figliǝ).

La maternità è ancora oggi un ottimo strumento per mantenere lo status quo. Toglie tempo ed energie e carica di responsabilità. Ci prescrive come dobbiamo essere e ci fa sentire inadeguate se mentre fatichiamo non abbiamo anche il sorriso sulle labbra, perché non tutte possono avere quella fortuna.

Riconoscere la maternità come sacrificio

Riconoscere che la maternità è amore ma anche sacrificio e che questa cura non dovrebbe essere appannaggio solo delle donne, significa rendere visibile l’enorme lavoro che facciamo in casa e con le nostrǝ figliǝ Significa dare dignità e valore al nostro tempo e a ciò che facciamo.

Ci è stato insegnato a nutrirci di pane e dogmi ma possiamo imparare a toccare gli idoli e i miti con le mani, solo così ci accorgeremo della doratura che rimane sulle dita. Perché è solo quando prendiamo consapevolezza della finzione, della gabbia che iniziamo a scrivere la nostra storia e a trovare chiavi.

 

(*)
Il simbolo che vedi si chiama schwa. Appartiene all’alfabeto fonetico internazionale (IPA) e si usa per indicare una vocale che in italiano non è presente. Si pronuncia come un “eeee” prolungato e si usa per rivolgersi a entrambi i generi (maschile e femminile) e a chi nel genere non si riconosce, come le persone non binary. Nei miei articoli uso spesso lo schwa in riferimento ai bambini, sia perché non sappiamo se da grandi si riconosceranno nel genere che gli è stato assegnato alla nascita sia per contrastare la pratica comune di rivolgersi sempre al maschile.

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