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SENTIRSI SOLA IN UN RAPPORTO A DUE

Scritto da VITTORIA GRAVINA il .

Sentirsi sola: un sentimento che accompagna moltissime mamme che, rapite dalla loro nuova vita, scandita da racconti sulle meraviglie della maternità, sprofondano sempre più in uno stato di solitudine, vuoto e silenzio. Le parole di Viky Ravi lasciano il segno.

Quando l’aspettativa si scontra con la realtà

Mentre ero incinta di mia figlia c’è stato un momento in cui ho capito che avrei fatto tante cose noiose per l’ultima volta. La spesa al supermercato, la fila alla posta, i lunghi pomeriggi di noia sul divano, ci sarebbero stati ancora ma immaginavo che con la sua nascita quei momenti solitari e noiosi sarebbero stati più felici perché improvvisamente eravamo in due.

In quello stesso periodo avevo iniziato a passeggiare. Con il COVID 19 gli spazi chiusi erano da evitare e avevo scoperto che camminare mi calmava fisicamente e psicologicamente.  Nonostante mi muovessi complice della mia pancia invisibile, mi sentivo sempre a disagio come se, priva di passeggino, non avessi diritto a farmi quattro passi. Come se solo con una carrozzina da tirarmi dietro avessi motivo di occupare lo spazio pubblico.

Poi mia figlia è nata e sapete cosa ho scoperto? Che odio uscire con il passeggino per camminare. In quei mesi in cui diventavamo due, scoprivo per la prima volta le bellezze dell’essere uno.

Ho capito che non era tanto il peso e la poca praticità del passeggino che non sopportavo ma il non essere mai sola. Mentre passeggiavamo non camminavamo e basta. Iniziavo a raccontare a mia figlia ciò che vedevamo, intonavo per lei delle canzoncine e delle volte mi lanciavo in complicate traduzioni. Non so perché facessi così, forse per condividere quell’attività con lei ma quello che riuscivo solo a pensare era: dov’è il mio tempo, il mio silenzio, il mio riposo? Quando potrò mandare animatrice ed educatrice in vacanza?

Sentirsi sola

Sentirsi sola in un rapporto a due

Dopo poco è stato chiaro che avevo voluto unǝ[1] figliǝ per i motivi sbagliati. Volevo che lei fosse una complice per affrontare insieme le difficoltà del mondo, un pass per l’autorealizzazione. In fondo non era molto lontano da quello che veniva promesso a tuttǝ, no?

“Un figlio ti completa”, ti ripetono e io volevo sentirmi terribilmente completa.

Stranamente però quando rimani incinta i racconti sulle meraviglie della maternità sono sostituiti con le fatiche dei “primi tempi” e non passa molto quando capisci che unǝ figliǝ non solo non ti completa ma ti scompone, ti frammenta.

Nessunǝ ti ha preparatǝ. Gli amici si allontanano e i parenti, passate le prime settimane, si ritirano. Le giornate a poco a poco iniziano ad assomigliarsi e per quanto ci si esalti per ogni piccola cosa che fa lǝ neonatǝ il prezzo per quella fatica non sempre è ripagato.

Non è di granché che ci nutriamo in fondo e non a tuttǝ basta.

Alcunǝ vogliono di più o magari vogliono entrambe le cose. Desiderano tornare a sentirsi persone oltre a essere quella cosa su cui unǝ neonatǝ ripetutamente rigurgita, piange e si lamenta.

Qualcunǝ fa anche la pazzia di uscire ma non tuttǝ hanno la fortuna di avere attorno complici, alleatǝ. Alcunǝ hanno semplicemente vicino persone che non fanno che battute che alimentano il loro senso di colpa e se non lo fanno lǝ amichǝ ci pensano lǝ passantǝ con i noiosissimi e pedanti: “Dove hai lasciato il bambino?”.

La solitudine del post parto

C’è da dire che durante il post parto non si è completamente se stessǝ e tutto rischia di fare più male. La mente va tenuta insieme con un fermo autocontrollo che non sempre si possiede e allora, quando lǝ bambinǝ piange, lo spiraglio sul mondo che faticosamente avevamo aperto si richiude e sembra che non si possa trovare un po’ di felicità, un po’ di sollievo fuori dalle mura domestiche.

Amore Materno

A parole moltǝ si offrono di darti aiuto e ti invitano a sfogarti, ma sono davvero in grado di ascoltarti? Di solito l’interlocutricǝ di turno mette a mo’ di pezze i tanti: “Ma non dire così”, “È solo un periodo, vedrai che passerà” finché tu non torni al silenzio chiedendoti se qualcunǝ là fuori conoscerebbe la canzone giusta per salvarti dal Sottosopra[2].

Nessunǝ sembra conoscerti, nessunǝ vuole realmente ascoltarti, sapere che ti senti triste, delusa, tradita perfino perché non è affatto come immaginavi. Vogliono i racconti dei bei momenti. Si nutrono del “com’è sentirsi madre” a cui nessunǝ sa davvero cosa rispondere perché è un po’ come l’aria imbottigliata di mare che vendono nei negozi di souvenir: vuota ed evanescente.

Vogliono il bello e allora tu, stancǝ dei consigli non richiesti dall’alto del loro piedistallo, glielo dai, racconti loro di quanto tu sia fortunata: tuǝ figliǝ dorme e mangia da solǝ e, come dice una mia amica, fa anche il 730. Sul loro volto si allarga un sorriso, sono soddisfattǝ. Immagini già che quando torneranno a casa diranno che sei tuttǝ presa dallǝ bambinǝ e non parli di altro.

Hai altra scelta?

Volente o nolente questo è il tuo mondo adesso. Le giornate non sono più scandite dall’ora ma da riposini, pianti, pappe e pannolini e quando provi a discostartene sei una turista in un posto sconosciuto, anche se un tempo l’avevi abitato. E fa ancora più male riscoprirsi estranee in quella che solo qualche mese prima chiamavamo “casa”.

Essere solǝ con unǝ bambinǝ

Essere solǝ con unǝ bambinǝ non è facile. Hanno la sovrannaturale capacità di metterti di fronte a ciò che più del tuo carattere ti spaventa. Hai l’occasione di affrontarlo ma, a differenza dei film, la prova non sarà una volta sola e non ci sarà un premio alla fine della giornata.

Mentre scrivo un caso di infanticidio sta infiammando gli animi. Mentre là fuori la moltitudine si chiede come sia possibile che una madre metta fine alla vita dellǝ figliǝ io qui dentro, due settimane prima che avvenisse l’accaduto, scrivevo che nonostante i casi di infanticidio in aumento è un miracolo che non ci siano più tragedie di questo tipo. Perché è dura e non gliene frega niente a nessunǝ. Ci dicono che ce l’hanno fatta tuttǝ, ergo: se vuoi sopravvivere ce la devi fare anche tu.

Della maternità ci piace condividere il lato bello, instagrammabile. Lǝ nostrǝ figliǝ hanno sempre un’attività da fare e noi siamo persone super organizzate con preziosissime to do list alla mano. E quelle liste servono. Quelle liste salvano perché se lasciassimo spazio al vuoto, al dolore, al silenzio che la maternità si trascina con sé altro che Sottosopra!

Sentirsi sola: il mostruoso del materno mette paura…

Il mostruoso del materno sì che mette paura. Ed è per questo che è più facile commentare un infanticidio riportando tutto all’instabilità della madre, all’inspiegabilità dell’evento o peggio ancora al suo essere contro natura.

Quanto farebbe paura scoprire che non solo due le mani sporche di sangue e che proprio per l’assenza dello stato, unico vero responsabile, queste tragedie accadono.

Quanto farebbe paura ammettere che quei pensieri ce l’abbiamo tuttǝ ma che, come diceva il più famoso mago di tutti i tempi, Albus Silente, “non sono le nostre capacità a dimostrare quello che siamo, ma le nostre scelte”[3].

Purtroppo si pensa ancora che se iniziassimo a chiamare con il suo nome il sacrificio materno moltǝ non diventerebbero madri. Non si capisce che invece guadagneremmo figure accudenti più consapevoli che scelgono consciamente di prendersi cura di un’altra vita.

 

 

 

[1]  Il simbolo che vedi si chiama schwa. Appartiene all’alfabeto fonetico internazionale (IPA) e si usa per indicare una vocale che in italiano non è presente. Si pronuncia come un “eeee” prolungato e si usa per rivolgersi a entrambi i generi (maschile e femminile). E a chi nel genere non si riconosce, come le persone non binary. Nei miei articoli uso spesso lo schwa in riferimento ai bambini. Sia perché non sappiamo se da grandi si riconosceranno nel genere che gli è stato assegnato alla nascita, sia per contrastare la pratica comune di rivolgersi sempre al maschile.

[2] Nel momento in cui scrivo l’articolo è uscita da qualche settimana la Quarta stagione di Stranger Things Vol. 1 e non si parla d’altro. Sui social, in particolare su Instagram e Tik Tok, gira il trend di condividere le canzoni che ti riporterebbero alla vita se un mostro ti portasse nel Sottosopra.

[3] Albus Silente è un personaggio inventato della famosissima saga di Harry Potter scritta da J.K.Rowling.

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